Sul finire degli anni ’90. ad opera dei fratelli Giovani e Giuseppe Fubelli, valenti modellisti in Roma, fu realizzata la copia lignea di un letto i cui reperti ossei furono ritrovati dall’archeologo Cesare Letta in località Amplero, presso il Comune di Collelongo, in Abruzzo. Per tale operazione, in virtù della collaborazione intercorrente a quei tempi con la Società CMS di Zogno, all’epoca già all’avanguardia nel campo delle macchine a controllo numerico, ebbi un ruolo nel favorire un’integrazione tra tecniche convenzionali e tecniche innovative incentrate su metodi di rilevamento laser e stereotomia tramite CNC. Segue l’articolo che pubblicai sulla rivista Business Stone n.28 1998.
“La Bottega Virtuale”, nuovi paradigmi del conservare e del costruire
di Felice Ragazzo
“La Bottega Virtuale” illustra le problematiche realizzative della copia lignea del letto d’osso detto di Amplero. L’occasione offre il pretesto per immaginare scenari innovativi basati su tecnologie digitali, ma anche per valorizzare tecniche artigianali consolidate. Le parti geometricamente più complesse sono state realizzate con un centro di lavoro a controllo numerico (CNC), guidato da un modello matematico basato su rilevazioni laser. Le rifiniture e le parti semplici, invece, sono state realizzate manualmente con strumenti tradizionali di lavorazione del legno. Il letto è un oggetto funerario di cultura italica tipologicamente raro, risalente al I secolo a.C., scoperto in località Amplero nel Comune di Collelongo, L’Aquila.
1. I presupposti della realizzazione della copia
2. Questioni tecniche
3. Il problema delle tracce di lavorazione
4. Perché la scelta del legno di pero
5. Gli altri materiali
6. Riflessioni sui significati dell’operazione compiuta
7. Tradizione-innovazione, nella formazione di nuovi operatori specializzati
8. Un bilancio provvisorio
Per quanto riguarda la descrizione dell’oggetto originale, la storia della sua scoperta, quella della sua ricostruzione-restauro, si rimanda alle pubblicazioni scientifiche e divulgative ad opera del professor Cesare Letta, archeologo, docente presso l’Università degli Studi di Pisa ed, in particolare, alle seguenti due opere:
C. Letta, Due letti in osso lavorato dal centro italico-romano della Valle di Amplero (Abruzzo), in Mon. Ant. Linc., Ser. Misc. 111-3, 1984, pp. 67-114;
C. Letta, Dormire tra linci e amorini, in Archeo n. 64, giugno 1990.
Ai fini di una esaustiva comprensione delle problematiche relative al restauro è poi certamente necessario rifarsi alla relazione tecnica prodotta dagli operatori specializzati e dalla disegnatrice del Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica della Toscana, rispettivamente i sigg. Renzo Giacchetti, Paolo Graziani, sig.ra Manuela Nistri e la sig.ra Marida Risaliti.
1. I presupposti della realizzazione della copia
Dopo il complesso restauro, il letto è stato racchiuso in una speciale teca e collocato nel Museo Archeologico di Chieti. Tale teca si rese necessaria per garantire un’alta stabilità termo-igrometrica alle particolari cere adottate per l’assemblaggio delle lamelle d’osso, al fine di assorbire con la loro malleabilità eventuali micro-dissesti tra le lamelle stesse. Di conseguenza, non soltanto l’oggetto risulta difficilmente spostabile dalla sua attuale sede, ma per il mantenimento della sua stabilità e integrità, occorre che la macchina-teca sia costantemente funzionante e venga aperta soltanto in rarissimi casi. È quindi possibile una osservazione diretta del letto soltanto dall’esterno della teca. Di conseguenza, non sono consentite introspezioni, per esempio, per effettuare misurazioni dirette o riprese fotografiche ravvicinate, meno che mai per effettuare calchi. Cosicché la fruibilità del letto può avvenire o direttamente presso il Museo, oppure soltanto attraverso la documentazione fotografica prodotta a suo tempo dal Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica della Toscana e dalle pubblicazioni che si sono susseguite nel tempo. L’Amministrazione comunale di Collelongo (L’Aquila), conscia dell’importanza dell’oggetto archeologico ritrovato presso una località del proprio territorio (Valle d’Amplero), al fine di esibire senza la mediazione del Museo Archeologico di Chieti l’oggetto che più di ogni altro nobilita il luogo in termini di patrimonio culturale storico-artistico, ha ritenuto di dotarsi quantomeno di una sua effigie (modello), utilizzando risorse messe a disposizione dall’Amministrazione Regionale dell’Abruzzo.
2. Questioni tecniche
Va anticipato che l’incarico della riproduzione del letto è stato affidato dall’Amministrazione Comunale di Collelongo al modellista romano Giovanni Fubelli, il quale, insieme al fratello Giuseppe, conduce da quasi un trentennio un’intensa, ma convenzionale, attività nel campo dei plastici architettonici. Lo scoglio insuperabile dato dall’impossibilità di accedere direttamente al manufatto originario poneva i realizzatori di fronte a scelte difficili a compiersi.
Tentare, per esempio, una riproduzione del letto, specialmente in riferimento alle sue parti formalmente più complesse e simbolicamente più significative utilizzando mezzi convenzionali di modellazione di materiali plastici, avendo come base la sola documentazione fotografica (in pratica si sarebbe trattato di riprodurre a vista forme scultoree). Oppure, accedere alle tecniche di rilevamento fotogrammetrico per produrre un modello matematico tridimensionale da porsi come base per le successive operazioni tecniche di determinazione delle forme. Nel primo caso è facile capire che si sarebbe trattato di un’operazione in cui non sarebbe stata trascurabile l’ipoteca della superficialità, nel secondo, invece, si sarebbe trattato di un’operazione eccessivamente onerosa, benché la migliore in linea teorica, vuoi per motivi economici, vuoi per motivi tecnici. Invece, la soluzione adottata è stata suggerita dalla disponibilità, da parte del Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica della Toscana, di concedere sia le tavole grafiche, sia la documentazione fotografica, sia i calchi di gomma siliconica approntati all’epoca del restauro. È utile precisare che questi ultimi sono per lo più i calchi riferiti a parti spazialmente complesse, come per esempio i volti barbati e le figure zoomorfe. Per informazione tecnica è anche utile riportare che l’uso della gomma siliconica nella realizzazione dei calchi avviene in funzione della sua deformabilità che rende possibili stampaggi anche in zone dette “sottosquadro”, ovvero, che per essere estratte dallo stampo impongono un allargamento del medesimo.
Tramite la disponibilità di questi supporti, è stato possibile impostare una linea di lavoro mista, in parte fondata su operazioni tecniche convenzionali, in parte fondata sull’utilizzo di tecnologie innovative. Nell’oggetto sono state selezionate le parti che potevano essere utilmente realizzate convenzionalmente e le parti per le quali, invece, erano più vantaggiose le tecnologie innovative. Le parti compatibili a tecnologie convenzionali, per fare qualche esempio, hanno riguardato il telaio, le parti a tornitura delle gambe, le placche ossee a geometria semplice.
Viceversa, le tecnologie innovative sono state applicate nella realizzazione di tutte quelle parti che implicavano difficili ed onerose operazioni di stereotomia. Utilizzando gli stampi di gomma siliconica, è stato possibile realizzare, tramite colatura, le riproduzioni in gesso delle parti relative. Con questa operazione si sono così create le condizioni per la creazione di un modello matematico di ciascuna forma, che sarebbe dovuta avvenire per mezzo di una scansione laser.
A sua volta, la creazione del modello matematico sarebbe stata propedeutica alla riproduzione della forma rilevata fresando con un centro di lavoro a controllo numerico (CNC) il materiale scelto per dare corpo alla copia, ossia il legno di pero. Sia la rilevazione dei punti per la determinazione del modello matematico, sia la fresatura a controllo numerico dei pezzi sono avvenuti grazie alla messa a disposizione di propria strumentazione e personale specializzato da parte della CMS Spa di Zogno (Bergamo).
Un problema di un certo rilievo tecnologico si è presentato al momento della preparazione dei blocchi di legno relativi alle teste barbate, visto che la dimensione di queste raggiungeva dimensioni maggiori di quelle dei pezzi lignei in commercio. Per prevenire il prodursi nel tempo di fessurazioni e distaccamenti in conseguenza dell’assemblaggio di più pezzi necessari a formare lo spessore richiesto, è stata messa in atto un’adeguata strategia di omologazione degli orientamenti delle fibrature e di snervamento dei pezzi collocati ai fianchi di quello centrale, prescelto come pezzo indipendente. La snervatura è stata effettuata producendo tagli longitudinali a forma di pettine. A questo proposito, è utile ricordare che la tecnica di svuotamento interno di grossi pezzi lignei al fine di limitare il prodursi di spaccature era già nota e praticata con successo nella costruzione delle sculture lignee durante il Rinascimento in numerose regioni Centro-Europee e, in particolare, dell’arco alpino (Baxandall).
3. Il problema delle tracce di lavorazione
La questione è assai sottile, concettualmente complessa, perché pone in relazione la qualità del lavoro prodotto manualmente con quella degli attuali più avanzati centri di lavoro a controllo numerico. Dal punto di vista percettivo, si tratta dell’immagine prodotta in superficie ai pezzi lignei attraverso le tracce di lavorazione lasciate nell’uno e nell’altro caso. Queste tracce, è giusto ancora aggiungere, recano la testimonianza del mezzo tecnico adottato e contribuiscono in larghissima misura a formare la “cifra” estetica del prodotto. Nel caso in questione, trattandosi della realizzazione di un manufatto riproduttivo di un oggetto importantissimo per la nostra cultura storica, è evidente che il “pattern” superficiale dei pezzi non poteva essere lasciato al caso, occorreva cioè affrontare il problema misurandosi con tematiche tecniche e concettuali di alto profilo. Abbiamo visto che l’abbinamento delle tecnologie di rilevazione a mezzo laser con le lavorazioni a controllo numerico (specialmente finalizzate alla cosiddetta “asportazione di truciolo”), possono agevolmente superare le barriere della stereotomia insorte con la diminuita abilità degli attuali operatori appartenenti all’universo delle tecniche convenzionali. Tuttavia, il livello di finitura dei pezzi a controllo numerico non è sempre di qualità elevata.
Su questo aspetto è forse utile soffermarsi un poco e fare qualche considerazione. Se le forme delle superfici sono scarsamente accidentate da asperità, discontinuità, ondulazioni, per non parlare per il momento di sottosquadro, allora il livello di finitura può essere alto perché possono agire frese di diametro largo e possono essere imposte scansioni relativamente spaziose. Se, invece, le forme sono accidentate, come nel nostro caso sono le barbe dei volti, allora occorre adottare frese di diametro piccolo e imporre scansioni fitte. Non c’è dubbio che, in questo secondo caso, per ridurre i tempi di lavorazione si possono adottare frese meno piccole e scansioni meno fitte, ma naturalmente il risultato va discapito della qualità.
Come si può vedere, nella finitura dei pezzi sottoposti a lavorazione nei centri di lavoro a controllo numerico, appare assai difficilmente raggiungibile un alto livello di qualità. Però, una volta superate informaticamente le difficoltà stereotomiche (quelle per le quali occorrerebbero le migliori e le più rare abilità da parte degli operatori manuali) diventa agevole innalzare il livello della qualità nei trattamenti delle superfici ricorrendo a pratiche tecniche convenzionali.
Essenzialmente, queste pratiche consistono nella asportazione di un sottile strato di materiale con i tipici strumenti da intaglio e levigatura, come sgorbie, scalpelli, raspe, lime e carte abrasive. Il tipo di “pattern” ottenuto può essere dettato da una vastissima gamma di possibilità, la quale, per altro, è gran parte espressione del concetto di flessibilità operativa del modo convenzionale di operare, già suggerita dalla varietà degli strumenti disponibili. Ispirandosi a questa impostazione concettuale, si è intervenuti manualmente per dare coerenza alle superfici di tutti i pezzi che riflettessero una rilevanza estetica.
Nel caso della copia del letto di Amplero, occorreva produrre un “pattern” di superficie chiaramente allusivo di quello osseo dell’esemplare originale. Quindi, il livello di qualità non è stato ricercato in astratto, bensì in stretta correlazione con un preciso contesto di riferimento. Al tempo stesso, però, va tenuto conto che realizzandosi oggi una copia di un manufatto di circa venti secoli fa, era doveroso lasciare a futura memoria qualche traccia delle lavorazioni odierne. Infatti, a tale scopo, alcune piccole porzioni di superfici lavorate con tecnologie avanzate non sono state cancellate. L’interpretazione del “pattern” da adottare non si è esaurita con la sola scalpellazione e levigazione, ma ha anche avuto un risvolto cromatico.
Infatti, nell’originale si distinguono due tipi di campiture. Un primo tipo è dato dai frammenti ossei reperiti in sede di scavo e ricollocati durante il restauro. Un secondo tipo, invece, è dato dalle integrazioni delle lacune effettuate con le speciali cere, di cui si è più sopra detto. I due materiali, oltre a presentare un diverso aspetto perché diversa è la loro natura, presentano pure lievi differenze cromatiche all’interno di una gamma incentrata sul colore ocra. Risulta un po’ più scuro e rossastro il colore riferito ai pezzi ossei, mentre appare un po’ più chiaro e giallastro quello riferito alle cere. Tale differenza è stata riprodotta con la pratica dello sbiancamento per mezzo di acqua ossigenata delle parti relative alle cere, lasciando inalterato, perché perfettamente corrispondente, il materiale adottato per la realizzazione della copia, ovvero il legno di pero.
4. Perché la scelta del legno di pero
Anche in questo caso occorre allineare sottili concetti interpretativi con le proprietà dei materiali adatti alla modellazione. I criteri adottati sono stati informati da due distinte esigenze. Una prima esigenza ha riguardato la necessità di riprodurre, entro certi limiti, le tecniche adottate per realizzare l’originale. Una seconda esigenza, invece, ha riguardato la necessità di imitare il più fedelmente possibile i due materiali dell’originale, ovverosia l’osso e le speciali cere.
A questo proposito, è forse giusto precisare che questi due materiali a priori non potevano essere considerati per realizzare la copia, vuoi per non incorrere in costi eccessivi, vuoi perché una copia, per quanto fedele, deve sempre un po’ differenziarsi dal suo originale. Escludendo le tecniche di stampaggio, perché le lavorazioni sui frammenti ossei sono state ad intaglio e perché nella fattispecie avrebbero prodotto risultati di scarsa qualità tecnica ed estetica, non potevano essere presi in considerazione materiali come le resine sintetiche, il gesso, la terracotta, ecc. La scelta doveva ricadere su quei materiali che offrissero un buon grado di lavorabilità sulla base delle tecniche di asportazione di materiale. Tra questi, la rosa possibile era data soprattutto dai materiali legnosi. Per la verità esistono oggi numerosi e validi materiali sintetici adatti alle tecniche di asportazione, ma l’esclusione di questi è stata dettata dal fatto che si sarebbe prodotto un salto troppo grosso tra la naturalità dei materiali originari e la sinteticità dei materiali della copia. La scelta si è quindi indirizzata verso il campo dei materiali legnosi perché, in esso esistono specie che, insieme a proprietà di buona lavorabilità, possiedono caratteristiche morfologiche capaci di richiamare da vicino l’osso dell’originale. A riguardo di ciò, merita a priori ricordare il fatto che, dal punto di vista anatomico, tra l’osso e il legno esiste una forte analogia circa la struttura del materiale, ovvero l’unidirezionalità della struttura fibrosa (anisotropia).
Questa caratteristica, certamente diversa dal punto di vista microscopico nei due materiali, da quello macroscopico produce sensibili analogie estetiche nei casi di legni a fibratura minuta. Il legno di pero è certamente tra quelli che maggiormente uniscono alla agevole lavorabilità meccanica (sia con utensili tecnologicamente innovativi, sia manuali) la stringente analogia estetica con l’osso e le cere. Il legno di pero, è utile ricordarlo, è una specie legnosa largamente diffusa nel nostro Paese e anche questo ad essenzializzare l’intera operazione di realizzazione della copia del letto d’Amplero. In accordo, poi, con l’originale, si è adottato il legno di faggio per realizzare il telaio principale e le parti interne dei “fulcra”.
5. Gli altri materiali
Il legno non è l’unico materiale che concorre a formare il letto di Amplero, altri materiali sono il ferro, l’ottone, e il cuoio. Il ferro è stato adottato per realizzare l’anima metallica delle gambe e i chiodi ad anello nei quali si annodano le corregge di cuoio del giaciglio. L’ottone, invece, è stato adottato per realizzare i puntali a terra e le ghiere sommitali di serraggio dei vari ordini di rocchi delle gambe. Il cuoio, infine, è stato adottato per realizzare le parti soffici dei “fulcra” e, come si è già detto, delle corregge formanti il giaciglio.
6. Riflessioni sui significati dell’operazione compiuta
La realizzazione della copia del letto di Amplero, al di là dei suoi significati pratici, riveste un’importanza fondamentale in relazione ad attualissime problematiche che investono il campo della tutela, conservazione, restauro del patrimonio storico-artistico e, parallelamente, riveste un’importanza fondamentale in relazione al tema della riqualificazione delle attività fabbrili (artigiane), in rapporto a contributi che possono derivare dall’utilizzo di tecnologie digitali. Venendo alla prima questione, occorre prima di tutto interrogarsi sui ruoli e sui significati dati da una copia realizzata con alto rigore scientifico e con molteplice varietà tecnologica di un oggetto archeologico di rilevante importanza.
Intanto, con quest’opera si dimostra che tra modi convenzionali di operare, quelli che derivano da una tradizione che va scomparendo, e modi innovativi, quelli che giorno per giorno mutano perché è incessante il loro progredire, a certe condizioni non vi è contrasto, ma addirittura affinità e possibilità di osmosi. Il vero grande tema, però, è dato dall’elevato livello di riproducibilità che si viene a stabilire correlando i due fattori appena detti e che secondo superficiali stereotipi sono, invece, considerati incomunicanti o, addirittura, antitetici. La copia del letto di Amplero attualmente è un fatto isolato, ma se i criteri della sua realizzazione trovassero un’applicazione sistemica, si verrebbe certamente a mutare il rapporto tra conservazione e fruizione del bene storico-artistico di cui si parla.
Tale rapporto verrebbe a mutare perché, data l’alta attendibilità della copia, si renderebbe meno necessaria la fruizione diretta dell’originale. Questa asserzione naturalmente, vale soprattutto per chi, per istituzione, è chiamato a condurre studi e ricerche sul bene storico-artistico conservato. Però, può avere una certa concretezza anche il riferimento a fruizioni meno specializzate. Questo fatto è già dimostrato, per esempio, dal prevedibile ruolo che avrà la copia del letto dell’Amplero nel contesto comunale di Collelongo e nelle sue aree adiacenti. In questo contesto è addirittura prevedibile che la copia, proprio in virtù delle inconsuete tecniche riproduttive adottate, salga un pochino di livello acquisendo alcuni tratti di status di pezzo originale.
Non si dimentichi, per esempio, che all’inizio di questo secolo per asserire la buona qualità di un oggetto si etichettava “prodotto fatto a macchina”. L’uso della macchina (nel nostro caso le tecnologie digitali e i centri di lavoro a controllo numerico), quindi, lungi dall’essere considerato un disvalore, può, al contrario recare nuovo vigore all’oggetto assunto ad opera d’arte. In definitiva, con la messa a punto di un dispositivo di riproduzione altamente qualificato, si vengono ad allargare le condizioni di circolazione dell’opera d’arte attraverso la sua copia qualificata, riducendo la necessità di circolazione dei pezzi originali. A partire da questa prima considerazione ne possono seguire altre, anch’esse assai suggestive. Per esempio, se si riesce a dimostrare, come in effetti si dimostra, che il dispositivo delle tecniche riproduttive applicato nella realizzazione della copia del letto di Amplero offre alte garanzie di qualità, scientifica, tecnica, culturale, nulla vieta che si possa trasferire tale potenziale nella riproduzione di parti degradate di pezzi originali.
In questo caso, la lacuna verrebbe risarcita con lo stesso materiale e, giusto per lasciare intravedere il diverso tempo di realizzazione, si potrebbero lasciare sulle nuove superfici lievi differenze di testura. Poiché, come abbiamo visto, per produrre le fresature a controllo numerico occorre prioritariamente sviluppare un modello matematico (nel nostro caso, a mezzo di scansione laser) proprio questo modello matematico diventerebbe nel futuro la più solida garanzia di conservazione del bene storico-artistico. Perlomeno da un punto di vista volumetrico-spaziale il modello matematico sarebbe la garanzia di conservazione indefinita della parte non restaurabile dell’opera.
A questo punto, però, le politiche di tutela del patrimonio storico-artistico, oltre che convergere le loro attenzioni sui supporti materiali, dovrebbero prodursi per tutelare anche i relativi modelli matematici. Sulla base di queste considerazioni, approfondendo meglio, affiorano nuovi aspetti interessanti. Per esempio, ponendo l’accento sul fatto che il nucleo cognitivo centrale dell’aspetto innovativo della nostra operazione è dato dall’abbinamento del modello matematico con la fresatura a controllo numerico, si viene a produrre una certa omologazione delle tecniche riproduttive, a prescindere dai materiali impiegati, quali il legno, le pietre e, in certi casi, i metalli. Ecco allora che la grande varietà dei mestieri, essenzialmente fondata sulle differenti caratteristiche dei materiali lavorati, è indotta a ridursi per la forte pressione razionalizzatrice esercitata dalla nuova frontiera tecnologica.
Ciò, però, non deve portare ad ipotizzare la scomparsa dei mestieri storici, perché, come abbiamo visto le due realtà per agire proficuamente debbono sostenersi a vicenda. Il problema dei mestieri storici, semmai, è quello di studiarli e conservarli come oggetto di patrimonio storico-culturale, al fine di utilizzarne gli aspetti propulsivi nella concreta realtà di oggi, in una logica di ristrutturazione dei loro saperi sottostanti.
7. Tradizione-innovazione, nella formazione di nuovi operatori specializzati
Siamo giunti all’ultima grande questione posta dalla realizzazione della copia del letto di Amplero. Vogliamo intendere la questione che lega tradizione e innovazione nella formazione di nuovi operatori nel campo delle attività fabbrili, le cosiddette attività artigiane. Prima di procedere, è bene ribadire un concetto che, pur essendo già circolante, non è tuttavia universalmente noto. Riguarda la supposta antinomia artigianato-industria. Se un tempo questa antinomia poteva essere non del tutto condivisa in funzione dell’assunto che l’industrialesimo moderno poteva essere considerato come un aspetto evolutivo di precedenti industrialesimi, certamente dotati di strumenti e forme organizzative inferiori. Oggi tale antinomia è ancora meno giustificabile. Infatti, i peculiari caratteri del fare pre-moderno, come flessibilità, mutabilità, unicità, sono oggi stesso sostanzialmente rispettati dalle tecnologie di frontiera.
Naturalmente, nel campo innovativo molte rigidità non sono ancora state superate, di conseguenza la strada per giungere ad una completa soluzione dei problemi si presenta ancora lunga e difficile. Tuttavia, come si è detto, alcuni punti fermi si possono già considerare acquisiti. Vediamo, allora, come quanto abbiamo finora esposto può avere relazione con la formazione di nuovi operatori specializzati. Oggi, la nuova figura di operatore specializzato in questo campo di attività può assumere due caratterizzazioni diametralmente opposte:
– da un lato, sulla base delle competenze tipiche di un artigiano depositario dei saperi tecnici della tradizione;
– dall’altro, sulla base delle competenze necessarie a operare nell’ambito delle nuove tecnologie digitali.
In tutti e due i casi si tratta di soluzioni parziali al problema perché, nel primo caso si ha a che fare con saperi tecnici che pur potendo vantare fasti nel passato, oggi non possono che svolgere ruoli residuali, nel secondo caso, invece, si ha a che fare con professionalità tecnicamente potenti, ma ancora prive di quella plasticità che caratterizza i saperi tecnici tradizionali. Occorre che oggi il nuovo operatore specializzato si formi permeando i tratti essenziali delle due culture.
Questa esigenza nasce dal fatto che l’impermeabilità tra le due culture certamente non favorisce, se non addirittura riduce, l’efficienza complessiva del sistema in cui hanno luogo la concezione, la progettazione, la realizzazione, e infine la diffusione di un genere di beni e servizi che sommariamente possiamo definire artigianali-industriali-professionali. Inoltre, sotto altri punti di vista, l’impermeabilità detta sopra, forse è anche fonte di disparità ed ingiustizie. È quindi utile, tenendo conto di molti aspetti non solo culturali, ma anche economici e sociali, che il “fabbrile” ritorni vitale e competitivo appropriandosi di alcuni tratti essenziali dei nuovi saperi innovativi, mentre è altrettanto essenziale che il “tecnologico-digitale” progredisca anche incamerando, e magari rinnovandoli, i genuini contenuti tecnico-culturali dei saperi tradizionali.
In relazione a queste problematiche si può dunque vedere come la realizzazione della copia lignea del letto di Amplero abbia rivestito un ruolo di apertura, anche a riguardo del tema inerente la formazione di competenze specializzate nel settore delle attività fabbrili e, in senso lato, della tutela del patrimonio storico-artistico. Al tempo stesso ha consentito di mettere meglio a fuoco i ruoli che l’innovazione tecnologica, specialmente orientata alla produzione-utilizzazione di centri di lavoro a controllo numerico (volti alla cosiddetta “asportazione di truciolo”) può avere, sempre nei campi delle attività fabbrili e della tutela del patrimonio storico-artistico.
8. Un bilancio provvisorio
Volendo osservare la realtà da un più vasto orizzonte, non si può che trarre il seguente bilancio provvisorio: affinché si realizzi lo scambio, la contaminazione, l’osmosi tra le due culture tecniche, quella di origine fabbrile e quella di origine digitale, è necessario che si promuova una sostanziale ristrutturazione dei saperi tecnici e culturali provenienti dalla tradizione e un sostanziale rimodellamento dei saperi provenienti dall’universo digitale. Con questo nuovo modello operativo possiamo certamente parlare di nuova qualità, non soltanto nel campo della conservazione e restauro, ma anche in quello della produzione ex novo. In linea teorica, l’aspetto più significativo è che si viene a produrre una nuova forma di unità tra ideazione e realizzazione.
Infatti, il linguaggio formale necessario per progettare è sostanzialmente identico a quello per realizzare. È un fatto scontato il ritenere che una nuova sintesi su questo terreno non possa che far crescere il livello qualitativo dei prodotti. Un valore aggiunto indiscutibilmente significativo, come si è già detto, è dato dalla possibilità di “navigare” con sicurezza geometrica attraverso forme spazialmente complesse, cosa questa che sapevano fare i maestri artigiani pre-contemporanei, ma che si è persa quasi irreparabilmente negli ultimi decenni. Ripristinare la possibilità concettuale di manipolare la complessità spaziale significa anche liberare molte energie progettuali attualmente represse o avvilite, quindi significa conquistare la possibilità di introdurre contenuti nuovi nella ideazione degli oggetti finalizzati a rendere più agevole il nostro vivere quotidiano.
Da questo punto di vista risulta evidente che i valori che si possono conquistare siano non soltanto di natura estetica, ma anche simbolica. Naturalmente non si possono trascurare i vantaggi che possono derivare dal versante economico. Questo aspetto però, presenta al momento delle difficoltà, perché il sistema nel suo complesso sta muovendo soltanto i primi passi, di conseguenza sconta le tipiche penalizzazioni dovute alla mancanza di una cultura complessiva. Entro certi limiti, si può ancora sintetizzare il fenomeno con la metafora della Torre di Babele. In termini più pratici si può dire che i profili professionali necessari a coronare l’intero arco che va dalla fase progettuale a quella realizzativa attualmente non risultano perfettamente amalgamati, anzi si evidenziano notevoli discrasie, come per esempio tra il campo estetico-formale, del disegno automatico, del controllo numerico, dei materiali….
Un valore è anche dato dalla perfezione tecnica delle realizzazioni tramite sistemi a controllo numerico. In questo caso, forse, la qualità migliore non è tanto data dalla perfezione tecnica in se per se, la quale, non va dimenticato è anche un favore di abbassamento dei costi favorendo una riduzione degli scarti, bensì dalla possibilità di mantenere associata alla qualità tecnica la mutabilità della forma dei prodotti. Un importantissimo fattore di qualità è dato dalla maggiore sicurezza delle lavorazioni, sia rispetto agli infortuni, sia a riguardo delle condizioni generali di igiene. Come si può vedere con la realizzazione della copia del letto di Amplero non si è soltanto prodotto un manufatto di pregio, ma si è percorso simbolicamente un terreno che caratterizza significativamente il presente e che anticipa molti aspetti del futuro.